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la mia amica ebrea

Oggi facciamo un’intervista doppia, parliamo con Sofia e Rebecca, due sorelle, due scrittrice che ci raccontano come nasce la loro comune passione

Sofia e Rebecca, parlateci un po’ di voi, di quando è nato il vostro amore per la scrittura?

SOFIA:  Ho ventisei anni, e abito in Toscana con la mia famiglia, inclusa Rebecca, con la quale ho un legame fortissimo. Adoro viaggiare e ho visitato gli Stati Uniti, la Francia, la Spagna, varie città italiane e ho vissuto per un anno a Londra. Mi piace leggere, ascoltare della bella musica, ammirare la natura e vivere nuove esperienze. La mia più grande passione, però, è la scrittura. Scrivo da quando avevo sette anni. Ho cominciato con il classico quaderno pieno d’idee e di storie e poi, crescendo, sono passata al computer. Con rammarico ammetto che durante l’adolescenza ho lasciato per un periodo la scrittura convinta che la mia passione fosse un’altra, adesso, invece, so che sto seguendo la strada giusta.

REBECCA: Sono una ragazza di ventinove anni, abito in un paesino toscano nel quale sono nata e cresciuta (e che apprezzo ancora di più dopo aver vissuto un anno nella piovosa Londra). Sono una persona semplice ma anche determinata e sicura di sé. Sin da quando ero piccola, ho avuto la passione per la scrittura: a scuola mi piaceva moltissimo scrivere i temi e anche durante i pomeriggi spesso buttavo giù delle brevi storie su un quaderno. Durante l’adolescenza purtroppo ho messo in secondo piano questa mia passione per dedicarmi ad altro, ma adesso me ne pento e so che scrivere è quello che mi piace più di ogni altra cosa e non ho più intenzione di rinunciarvi.

Avete scritto due libri che hanno come tema centrale un pezzo di storia molto cruento ovvero i campi di sterminio e le leggi raziali, come mai avete deciso di affrontare proprio questo tema?

SOFIA: Ho sempre voluto parlare della Shoah, del nazismo, dei campi di concentramento e della guerra. Voglio dare una voce a chi non ne ha una e l’occasione di parlare della Shoah per me è arrivata con “Quando dal cielo cadevano le stelle”. La protagonista è Lia, una ragazzina ebrea di tredici anni che vive a Roma, e dallo scoppio delle leggi razziali è costretta a nascondersi con la sua famiglia in numerosi nascondigli. Le leggi razziali in Italia arrivarono nel 1938 e per gli ebrei arrivarono anche numerosi cambiamenti e numerose restrizioni. Date quelle leggi, e dati i numerosi divieti, a un certo punto il fratellino di cinque anni di Lia, arriva a chiedersi se gli ebrei valgono meno dei cani. I campi di concentramento… in “Quando dal cielo cadevano le stelle” dedico numerose pagine al campo di concentramento di Auschwitz – Birkenau, ma non solo. Lia, infatti, affronta anche la marcia della morte con altri prigionieri, per poi ritrovarsi in altri campi di concentramento. Quando mi soffermo a pensare che tutto quello che ho scritto nel mio romanzo è davvero storicamente successo, non riesco ad accettarlo, e so che non ci riuscirò mai. Eppure tutto era vero, e voglio che quelle ingiustizie non si cancellino mai dai nostri cuori. Penso che sia molto importante ricordare tali atrocità affinché nessuno dimentichi e affinché niente di tutto quello si ripeta. Ogni bambino – ebreo o non ebreo – ha il diritto di crescere, ogni famiglia ha il diritto di restare unita, ogni persona ha il diritto di scegliere, di avere della dignità, di essere qualcuno. Ogni persona ha il diritto di vivere.

REBECCA: Ho sempre saputo che prima o poi avrei scritto dell’Olocausto perché, fra i vari genocidi, è quello più conosciuto, e penso che sia fondamentale ricordare quegli orrori, che sono avvenuti non troppo tempo fa. Nel mio romanzo “La mia amica ebrea” si accenna soltanto ai campi di concentramento perché la protagonista è una giovane ariana, e lo stesso vale per le leggi razziali: Rina, la co – protagonista del romanzo, è una giovane ebrea che invece ha vissuto il trauma del vedersi portar via ogni diritto proprio a causa di quelle leggi ma, dato che il mio libro è scritto in prima persona, noi ci ritroviamo nella mente e nei panni della protagonista. Naturalmente è importantissimo ricordare coloro che morirono nei campi di concentramento, per evitare che simili orrori si ripetano in futuro, quando l’Olocausto non sarà altro che un ricordo lontano; per questo penso che, quando non ci sarà più neanche un superstite della Seconda Guerra Mondiale, saranno proprio i libri (sia quelli di finzione sia le testimonianze) e i film a far sì che la gente ricordi quello che è stato. Per quanto riguarda le leggi razziali, in Germania entrarono in vigore negli anni ’30 e il mio romanzo si svolge nell’estate del 1943. Rina ha quindici anni ed é praticamentecresciuta con le leggi razziali. A Josepha – la protagonista ariana – invece, non importa poi molto di quelle leggi perché non toccano lei o le persone cui vuole bene. Ricorda le sue compagne, che hanno smesso di frequentare la scuola da un giorno all’altro, ma per il resto non si è mai posta particolari domande al riguardo visto che è indottrinata sin da quando era bambina a credere che Hitler abbia sempre ragione e che gli ebrei siano il male.

Così giovani e così “storicamente” impegnate. Come vi siete documentate per scrivere i libri?

SOFIA: Prima di scrivere “Quando dal cielo cadevano le stelle” mi sono documentata moltissimo. Ho scritto appunti su appunti e ho letto infinite testimonianze. Non solo ho parlato con gli anziani del paese in cui vivo, e che mi hanno raccontato la guerra, ma mi sono anche documentata su libri e online. Il mio romanzo è ambientato a Roma, quindi volevo avere anche la realtà della capitale durante la Seconda Guerra Mondiale. Naturalmente, mi sono documentata moltissimo anche sui campi di concentramento. Ricordo ancora tutti i libri che ho letto e i passaggi che ho sottolineato con la mia matita. Ho letto ininterrottamente anche le testimonianze di coloro che sono stati stipati in dei carri bestiame per poi essere rinchiusi in dei campi di concentramento. Inoltre, ho letto vari romanzi, tra cui “Il diario di Anna Frank”, “Mi ricordo Anna Frank” di Hannah – Hanneli – Goslar “Se fossi un uomo” di Primo Levi, “Ho sognato la cioccolata per anni” di Trudi Birger e molti altri. Oltre, naturalmente, a vedere dei filmati. Insomma, ho cercato di documentarmi meglio che ho potuto, e nel mio romanzo ho anche inserito delle note a piè di pagina per spiegare meglio alcuni avvenimenti, e spero di non aver commesso alcun errore storico – politico.

REBECCA: Naturalmente, quando si tratta di scrivere un romanzo storico è importantissimo impegnarsi per documentarsi più che possiamo per capire meglio com’era la vita a quei tempi. Nel caso de “La mia amica ebrea” ho letto numerosissime testimonianze, sia di persone tedesche che hanno vissuto la Seconda Guerra Mondiale, sia di coloro che abitavano proprio ad Amburgo (città in cui èambientato il romanzo) sia di coloro che hanno salvato degli ebrei durante il nazismo. Allo stesso tempo mi sono documentata su com’era la vita quotidiana per gli “ariani”: che cosa sapevano dei campi di concentramento, come funzionava il razionamento alimentare, cosa voleva dire vivere avendo un padre, un fratello o un amico al fronte; e soprattutto cosa voleva dire per i giovani vivere sotto la propaganda di Hitler. Prima di cominciare il romanzo mi sono imbattuta in una testimonianza piuttosto dettagliata di una signora che era una ragazzina nell’estate del 1943 e abitava proprio nel quartiere di Wandsbek, ad Amburgo, dove ho fatto risiedere Josepha e la sua famiglia e quelle parole sono state il via per la stesura della trama del mio romanzo. Inoltre, ci tengo sempre a dire che avendo la fortuna di abitare in un paesino dove conosco tutti, mi piace parlare con le mie vicine di casa, che sono donne anziane e hanno i ricordi della Seconda Guerra Mondiale. Naturalmente non ho inserito queste testimonianze nel mio romanzo perché la vita in un paesino toscano era diversa da quella ad Amburgo ma voglio consigliare a tutti di parlare con gli anziani, perché custodisono i ricordi di periodi ormai andati e i loro racconti sulla guerra aiutano a ricordare quanto siamo fortunati oggigiorno.

Avete mai pensato di scrivere un libro insieme?

REBECCA E SOFIA: Onestamente, pensiamo che non scriveremo mai un testo a quattro mani perché a entrambe piace sederci di fronte alla tastiera e buttare giù i nostri romanzi dal cuore. Naturalmente poi ci saranno numerose fasi di rilettura ed editing, ma in generale ascoltiamo le voci dei nostri personaggi e scriviamo d’istinto, cosa che sarebbe impossibile eguagliare con un libro scritto a quattro mani. Quello che ci piacerebbe fare, un giorno, è una sorta di antologia: un insieme di nostri racconti collegati da un unico tema, che ci permettano di dar voce a storie e personaggi che, per i motivi più disparati, non possiamo trasformare in veri e propri romanzi ma che hanno dei messaggi che vogliamo far arrivare ai nostri lettori, delle vicende che meritano di essere conosciute o ricordate.

Avete voglia di raccontarci, con poche parole i vostri testi?

SOFIA: Certo. Lia, la protagonista del mio romanzo, è una semplice ragazzina di tredici anni, durante la Seconda Guerra Mondiale. Come le sue coetanee ride, scherza, s’innamora, ha degli alti e bassi con la sua famiglia, e sogna tanto. Sogna che la guerra finisca e sogna di tornare a essere libera e di poter far di nuovo parte di quel mondo da cui si sente tagliata fuori. Da anni, infatti, Lia e la sua famiglia sono costretti a nascondersi in vari rifugi, con quale colpa? Quella di essere ebrei. Lia è una ragazzina piena di speranza e ottimismo, e nonostante le varie paure, tutto sembra andare per il meglio, almeno fino al 16 ottobre 1943, il giorno in cui la Gestapo rastrella il ghetto ebraico di Roma. Lia e la sua famiglia sono catturati e pochi giorni dopo si ritrovano rinchiusi in un carro bestiame. Le SS sono spietate e il nazismo adesso è reale, troppo reale. Lia arriverà ad Auschwitz – Birkenau, un campo di lavoro spettrale, un posto che, lentamente, imparerà a conoscere. Il mio romanzo, infatti, va avanti e il lettore si ritrova con Lia dietro il filo spinato. Si ritrova con i suoi sogni, con le sue speranze, ma anche con le sue lacrime. Lia cercherà di non smettere di lottare e la sua determinazione sarà la sua forza, ma le SS sono sempre più spietate, le ore di lavoro sono infinite, il freddo è troppo pungente, le punizioni sono all’ordine del giorno e mangiare è diventato quasi impossibile. Perché? Quella è la domanda che tartassa la mente di Lia. Una domanda che, però, non trova risposta. Tra morti, malattie, paure, speranze e sogni, Lia, però, non smetterà di amare la vita, di confidarci, di confidare in quella vita che ama, che definisce meravigliosa, che è certa che abbia in serbo delle bellissime sorprese. Una vita migliore, un mondo di pace, un mondo che non discriminerà gli ebrei. E così, con i suoi grandi occhi scuri, e senza più quei bellissimi capelli che ormai le hanno tagliato, Lia, ormai solo un numero, dietro il filo spinato di Auschwitz continuerà a sperare, a sognare. A sognare di tornare a casa, di riunirsi alla sua famiglia, di poter amare, di avere dei diritti, di essere qualcuno, di essere di nuovo libera. A sognare il giorno in cui dal cielo non cadranno più le stelle per finire sulle vesti degli ebrei e sulle casacche di tutti i prigionieri dei nei campi di concentramento.

REBECCA: “La mia amica ebrea” racconta l’altro punto di vista sull’Olocausto, quello dei tedeschi. La protagonista è una giovane ariana, Josepha, quindicenne di Amburgo: la ragazza vive con la madre, il padre (tornato mutilato dal fronte) e il fratello maggiore Ralf, sostenitore convinto di Hitler. Josepha cerca di vivere una vita normale nonostante la Seconda Guerra Mondiale sia in corso da anni, ma le cose cambiano quando suo padre decide di nascondere in soffitta una famiglia di ebrei. Fra loro c’e’ Rina, coetanea di Josepha. Fra le due ragazzine nascerà, pian piano, un’amicizia che ci porta a ricordare gli atti di coraggio e la nobiltà d’animo dei tedeschi che si opposero al volere di Hitler, spesso pagando con le loro stesse vite. Quello che caratterizza il mio romanzo è il fatto che la protagonista è stata indottrinata dalla propaganda hitleriana sin da quando era molto piccola: lei pensa che gli ebrei siano i nemici, siano il male; li considera inferiori agli “ariani”, si sente invincibile, pensa che nessuna nazione sia migliore della sua Germania. Per Josepha avvicinarsi a Rina significherà cominciare una crescita personale, iniziare a ragionare con la propria testa e mettere in dubbio le parole di Hitler. Non ho voluto indorare la pillola: al popolo della Germania veniva ricordato ogni singolo giorno che gli ebrei erano inferiori e loro gli invincibili. Eppure, nonostante questo e nonostante i pericoli, quando Josepha perderà la casa e Rina sembrerà perdere ogni possibilità di salvarsi, sarà proprio la protagonista ad aiutare la sua amica ebrea. Un romanzo per ricordare gli “eroi silenziosi” veramente esistiti, che hanno aiutato gli ebrei durante il nazismo e per ricordarci di come la razza umana sia capace di grandi atti di nobiltà d’animo e coraggio ma anche per non farci dimenticare di come ognuno di noi abbia importanza: le nostre azioni hanno valore, anche quando sembrano piccole e insignificanti. Uno degli insegnamenti che spero che i miei lettori portino con sé dopo aver letto il romanzo è che dovremmo essere i primi ad aiutare gli altri, senza pensare necessariamente alle grandi tragedie: non giriamo la testa dall’altra parte quando vediamo un compagno di scuola vittima dei bulli, quando notiamo una signora anziana che passa tutto il tempo da sola… facciamo un passo verso gli altri, solo così potremo costruire una catena indissolubile che, invece di enfatizzare i lati negativi della razza umana (come le notizie ci ricordano ogni giorno con guerre, assassinii, violenze di vario tipo), valorizzi quanto di buono c’e’ in ognuno di noi.

Progetti futuri?

SOFIA: Scrivo giornalmente, anche per tenermi allenata, ed attualmente sono anche molto impegnata in una delle ultime fasi di editing del mio secondo romanzo, che uscirà presto. Il libro sarà ambientato ai giorni nostri e le protagoniste saranno due giovani donne diverse ma simili. Una delle due ragazze è americana mentre l’altra è indiana, ed entrambe vogliono lottare per i diritti delle donne, per l’istruzione e per annullare la vendita di ragazze, promesse in spose. Niente è mai come sembra, e alle loro spalle partono delle minacce che nessuna delle due può aspettarsi. È un romanzo che fa luce sulla violenza in India, sui diritti negati delle donne, sul potere degli uomini, sull’analfabetismo, sui matrimoni combinati… è un romanzo contemporaneo, ambientato appunto in India, il Paese peggiore in cui nascere donna.

REBECCA: Cerco di scrivere ogni giorno quindi, sì, sicuramente ho dei progetti futuri! Il prossimo libro che avrei dovuto far uscire a giugno di quest’anno è un romanzo storico che racconta la storia di una ragazza veramente esistita, di cui non sappiamo granché, sfortunatamente però rischierei di sforare con i tempi per quanto riguarda editing e riletture, ma dico ai miei lettori che ho già pronto un altro romanzo cui tengo moltissimo. La storia, ambientata ai nostri tempi, racconta dell’ improvvisa amicizia fra Allyson, una diciassette scozzese come tante, e Coleen, sua coetanea malata da anni di leucemia. È la storia di un’amicizia, la storia di come la vita possa trionfare a dispetto dell’ombra della morte, una storia per ricordare il coraggio di tutti gli adolescenti che lottano quotidianamente contro il cancro e degli amici al loro fianco.

Quando dal cielo cadono le stelle